Biblioteca Multimediale Marxista
La necessità di sviluppare questo lavoro nasce dal fatto che la martellante propaganda dell'ideologia borghese si è fatta in questi tempi sempre più rumorosa spacciando i propri modi di organizzazione e di governo come “unici”, “indiscutibili” e “insuperabili”. Del resto tutte le classi dominanti hanno teso nella loro esistenza a dimostrare che c'è stata una storia prima di loro ma ora è terminata e questo è il punto finale dello sviluppo umano.
E' indubbio che la classe borghese dispone di mezzi di diffusione di massa che hanno una capillarità imparagonabile con quelli del passato ma soprattutto ora si approfitta del fatto che a livello mondiale c'è un minimo storico della capacità di organizzazione del proletariato. Riprendere in mano anche la battaglia per la democrazia fa parte dei mezzi che servono a fare chiarezza e aumentare la coscienza delle masse; dimostrare come la democrazia rappresentativa borghese sia superabile e transeunte può essere uno stimolo a spezzare l'opprimente propaganda borghese. Per questo svelare i veri motivi su cui si basa la democrazia borghese e le modalità del suo sviluppo confrontata con la democrazia popolare vuol dire dare a tutti strumenti scientifici per riaffermare la necessità dello sviluppo storico verso una nuova e più avanzata società.
Il motivo per cui nel presente lavoro si è sentita la necessità di dare sinteticamente conto delle fasi storiche che hanno caratterizzato lo sviluppo della rappresentanza politica nell’Europa occidentale, è dovuta alla riaffermazione, in ambito politico ed economico, di una marcata separazione di queste due scienze. Tale affermazione è connaturata allo sviluppo di una tipica ideologia capitalista (ovvero del modo con cui le classi dominanti giustificano la loro esistenza e i loro rapporti di proprietà) e trova completa esposizione nei liberisti del XIX secolo con l'affermazione dell’esistenza inevitabile di un perpetuo mercato concorrenziale che funziona autonomamente da uno Stato scevro dalla dipendenza dai fattori sociali. Da questa interpretazione si può trarre la errata conclusione che la diseguaglianza dei redditi, dei valori di proprietà e di status sociale, siano fisiologici e quindi connaturati nell’essere umano.
La prima parte della trattazione sarà quindi dedicata all’analisi di come l’attuale dominio del capitale industriale sempre più fermamente connesso al capitale finanziario nell'ambito dello sviluppo dell'imperialismo nella sua fase superiore porti al suo interno centinaia di anni di scontri e intese fra le varie classi che compongono la società, dove i rapporti di forza fra queste ultime determinano le variazioni dei caratteri sovrastrutturali cioè giuridici e sociali specifici di ogni fase: si inizierà dal modo di produzione feudale, nel quale il potere era diretto e personale (il feudatario come rappresentante di Dio) ed il livello di sfruttamento dipendeva da fattori giuridici (cioè dal diritto legale di imporre obbligazioni e richiedere certi servizi) e politici (cioè il diritto feudale); passando attraverso la crescita del potere della borghesia che portò alla nascita prima degli stati moderni (quelli in cui la rivoluzione borghese trovò un feudalesimo disposto al compromesso strutturale) e assoluti (quelli dove il feudalesimo respinse qualunque compromesso strutturale), dove i commerci e i rapporti di scambio dipendevano dalla presenza o assenza dei monopoli, a loro volta legati a concessioni e privilegi politici; giungendo all’epoca del modo di produzione specificamente capitalista che cancellò ogni rapporto di produzione feudale con uno Stato basato sul laissez-faire, il quale introdusse il moderno concetto di libertà e uguaglianza dove il capitale governa ogni cosa e il suo possesso è la sola fonte di potere e privilegio. Si perviene infine alla fase dell'imperialismo nella quale il capitalismo entra nel suo culmine e nell'inizio della sua decadenza e che vede la nascita e la crescita di un nuovo e diverso modo di concepire la rappresentanza politica: la democrazia popolare (1). A questa è riferita la seconda parte del lavoro .
1) useremo di qui in avanti questa definizione abbastanza generale per evitare di sovrapporsi ad altre elaborazioni teoriche generando confusione, non si tratta quindi di una definizione esaustiva ma fa esplicito riferimento al fatto che in tutte le repubbliche dove si è sviluppata una presa del potere delle masse operaie si è storicamente usato il termine “Repubblica Popolare”
È possibile individuare le origini del moderno parlamentarismo nell’Europa feudale del secolo XI, quando una emergente borghesia mercantile si adoperò per la rinascita del commercio e delle transazioni monetarie dopo un lungo periodo di depressione che seguì la caduta dell'Impero Romano. A beneficiare di questa ripresa economica fu anche la nobiltà feudale, la quale, poiché fondava i propri rapporti di dominio sulla proprietà diretta della terra e indiretta dei suoi abitanti (i servi della gleba, sviluppo storico della società schiavista), non aveva nel censo un immediato risvolto strutturale e pertanto era ben lieta di usufruire dei beni di lusso importati dalle carovane dei mercanti. Questi si stabilirono in luoghi chiave e stimolarono la rinascita della vita cittadina e la stessa nobiltà locale iniziò ad affidarsi sempre più al commercio e ai nuovi redditi monetari che ricavavano dai mercanti, a loro giuridicamente dipendenti. Dai maggiori introiti derivò un accrescimento della spesa militare e il Re, ovvero il proprietario terriero più potente del reame, dovette quindi cercare il sostegno e la complicità di una nobiltà locale sempre più potente. Furono questi, in estrema sintesi, i processi che portarono alla nascita delle Cortes in Spagna, della Dieta Imperiale, del Parlamento Inglese. Per ragioni storiche e di sintesi, si prenderà quest’ultimo come esempio generale della trattazione (massimo esempio di compromesso strutturale tra feudalesimo e capitalismo, poco studiato a paragone del massimo esempio di rivoluzione borghese senza compromessi, quella francese, assai più nota anche se spesso non compresa nei suoi sviluppi), specificando comunque che la rappresentanza politica si evolse in modi diversi a seconda del luogo.
Come riportato sopra, per cercare il sostegno della nobiltà locale e del clero, i Re d’Inghilterra iniziarono a convocare il Gran Consiglio, un’assemblea composta dal clero, dai baroni e dai duchi, dove si discuteva prevalentemente delle finanze. All’inizio del XIII secolo, in seguito ad uno scontro tra il Re e i baroni, questi ultimi ottennero la concessione della Magna Charta, nella quale furono sanciti l’illegalità dell’incarcerazione arbitraria da parte del Re e delle diminuzioni delle tasse feudali verso la Corona. Secondo gli storici inglesi, tale evento segna il passaggio dal Gran Consiglio al Parlamento (evidenziando uno sviluppo della lotta di classe nella quale la nascente borghesia inizia ad aspirare ad un potere reale). Un secondo scontro fra Re e baroni dovette portare all’inclusione nel Parlamento di quattro rappresentanti borghesi eletti per ogni contea, distretto e città (1295) e i nuovi membri eletti introdussero una nuova pratica parlamentare: quella della discussione delle lagnanze, in particolare riguardo alle tasse. Il Parlamento, giova specificare, poteva essere convocato soltanto dal Re (quindi non era permanente) ed era unicamerale: 49 nobili sedevano insieme a 292 rappresentanti borghesi, dove il voto era diviso per ceto e non per testa. Inizialmente, tutti coloro che possedevano una proprietà godevano del diritto di voto, ma a partire dalla metà del XV secolo questo fu ristretto ai soli proprietari ricchi, escludendo così i meno abbienti dalla rappresentanza.
A partire dal 1341 i borghesi iniziarono a riunirsi separatamente dal clero e dalla nobiltà come segno di acquisito potere contrattuale, formando quella che diverrà nota come la Camera dei Comuni, subordinata però alla Corona e alla Camera dei Lord.
In questa prima fase, dunque, la borghesia mercantile era sottomessa e tendenzialmente alleata della classe dominante feudale (alla quale faceva affidamento per ottenere privilegi commerciali) e l’espansione del commercio fu frequentemente accompagnata, in un primo momento, da un’intensificazione del servaggio (che declinò con la diminuzione della rendita feudale e l’aumento della produzione di beni). Questa alleanza mise in luce da subito la dinamicità della classe feudale inglese, diversamente dalla staticità e rigidezza di altre classi feudali europee, per cui molti borghesi poterono permettersi di acquistare titoli nobiliari, in particolare sotto le dinastie Tudor e Stuart tra il XV e l’inizio del XVIII: ma mise in luce anche la contraddizione antagonista fra modo di produzione feudale e modo di produzione capitalista: è in questo periodo che nacque l’assolutismo politico dove il Re, in cambio dello status di nobiltà, accentrò i poteri amministrativi e finanziari nella sua figura.
La rottura dell’alleanza avvenne nella prima metà del XVII con l’entrata in vigore del Book of Orders, il quale incrementava il potere della Corona nell’amministrazione e gli obblighi finanziari dei mercanti e della nobiltà locale, e l’estensione al tempo di pace della tassa per finanziare la flotta militare, imposta senza il consenso della Camera dei Comuni: l'assolutismo feudale respingeva con fermezza il concreto potere sviluppato dalla borghesia e il suo anelito alla libertà, che è la base per avere un operaio salariato libero dalle sue condizioni di esistenza (ovvero la condizione di esistenza del capitalismo), portò alla ribellione di quest’ultima contro la Corona. Il motivo di tale scelta radicale dipese dal fatto che la borghesia inglese era soffocata dalle tasse verso la Corona e dalla concorrenza dei mercanti olandesi e, in effetti, come specifica C. Hill nella sua opera God’s Englishman, «la testa del Re non fu fatta rotolare perché era del Re, né i Lord erano stati estromessi perché Lord [...] ma perché costoro avevano mancato al proprio dovere»: l’obiezione era quindi apparentemente pragmatica ma sostanzialmente ideologica (1). Una volta vinta la guerra civile, la borghesia mercantile, che attraverso il Parlamento (ora unicamerale) controllava lo Stato, intraprese una serie di guerre contro le potenze commerciali europee allo scopo di riorganizzare la politica commerciale inglese ed uscire dalla crisi: si passò così dalle compagnie monopolistiche (frutto di concessioni fatte dalla Corona) al monopolio statale. La tendenza della borghesia ad uscire dalla crisi attraverso la guerra è testimoniata dal fatto che, per tutta la durata del ventennio rivoluzionario (1640-60), l’Inghilterra rimase perennemente in guerra, gettando le basi della futura politica imperiale. La vittoria nella guerra civile non segnò solamente la vittoria della borghesia (che non si risolse in un bagno di sangue, come avvenne in Francia più tardi), ma segnò l'apertura ufficiale di un compromesso strutturale fra borghesia e feudalesimo che lasciava la possibilità a quest'ultimo di esistere in un modo di produzione capitalista, purché rinunciasse alla struttura del potere feudale, accettando in tal modo la libertà di capitale e manodopera come dato basilare della società. La borghesia mantenne il dominio anche dopo la Restaurazione e anzi la supremazia del Parlamento sulla Corona fu sancita dal Bill of Rights (1689), iniziando così il connubio tra mercato libero e governo parlamentare.
L’espansione commerciale di questo periodo non condusse, però, direttamente ad un modo di produzione specificamente capitalista per un semplice motivo: la mancanza di un mercato interno sufficientemente grande. Finché non fosse esistita una classe di contadini che potesse trarre sostentamento e produzione eccedente dalla propria terra (i famosi consumatori), non sarebbe stato possibile attivare i meccanismi capitalistici nella produzione (organizzata sulla base del lavoro a domicilio per opera dei piccoli manifatturieri) e non era quindi possibile concentrare la produzione in unità organizzate su larga scala (le fabbriche) per mancanza di manodopera salariata. A tale scopo, le recinzioni delle piccole proprietà artigiane e contadine con lo sviluppo della libertà sociale favorirono la polarizzazione della società in più classi, creando da una parte una classe di nullatenenti (che sarà costretta a vendere la sua forza lavoro come merce) e dall’altra concentrando la proprietà nelle mani di pochi, anche ai danni dei piccoli produttori. Questa innovatrice classe di imprenditori capitalistici ebbe così la possibilità di finanziare la sperimentazione di nuove tecniche di produzione, incentivate dallo sfruttamento della manodopera salariata (plusvalore relativo), per migliorare la produttività ed aumentare il sovrappiù di prodotti utilizzabili sul mercato. Una volta consolidato il proprio status, questi imprenditori proprietari di capitale domandarono maggiore rappresentanza politica per tutelare i loro interessi e nel corso del secolo XIX il suffragio fu progressivamente esteso a tutti i proprietari. I lavoratori salariati rimanevano quindi esclusi dalla rappresentanza, essendo questa basata sulla proprietà del capitale.
Come detto in precedenza, i processi che portarono al declino della nobiltà feudale e la successiva instaurazione dei rapporti di produzione capitalisti, ebbero diverse modalità a seconda del tempo e dello spazio: in Inghilterra attraverso un lento e graduale processo di compromesso strutturale; in Francia fu la rivoluzione borghese a spazzare via i rapporti feudali assolutizzati; in Germania invece non si ruppe l’alleanza tra borghesia e nobiltà, ma anzi fu ulteriormente sviluppata e ci fu la totale borghesizzazione di quest’ultima, la quale incentivò il capitalismo. Ma a prescindere dalle modalità di formazione, i primi provvedimenti presi dalla borghesia, una volta giunta al potere, furono sempre gli stessi: sancire la libertà (che è prima di tutto liberazione dei proletari dalle loro condizioni di esistenza) e l’uguaglianza di tutti di fronte alla legge (Bill of Rights in Inghilterra e Stati Uniti, Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino in Francia, costituzioni del 1848 in Italia e nell’Europa centrale). La differenza principale con l’Antico Regime è che, mentre in questo lo status sociale era stabilito alla nascita per diritto divino, i regimi borghesi sono caratterizzati da una mobilità sociale che, in teoria, permette a chiunque di entrare a far parte della classe dominante: si passa quindi da un potere diretto e personale del monarca, basato su una gerarchia sociale immobile e giuridicamente vincolata, al potere indiretto e impersonale della borghesia, dove il potere è esercitato dai possessori di capitale, un dominio più efficiente e capillare rispetto a quello feudale perché la base dei rapporti tra gli individui è il capitale stesso e i suoi meccanismi, consistenti in rapporti sociali fra cose e rapporti di cose tra persone, i quali non possono essere soverchiati tagliando la testa alla massima autorità.
Tutto questo ha definito nei secoli la base della democrazia rappresentativa borghese trasformando il deputato da rappresentante di specifici interessi di gruppi economici con mandato limitato, imperativo (cioè si doveva attenere alle precise disposizioni dei suoi mandatari) e quindi revocabile a deputato autonomo che ha il compito di rappresentare “l'interesse generale del paese”, e quindi irrevocabile. La questione dell'interesse generale del paese, se la priviamo della roboante retorica, vediamo che nella sostanza rappresenta un aspetto tipico del capitalismo. Questo si riconosce per essere un modo di produzione sostanzialmente anarchico nel quale ogni capitale si comporta come se fosse il solo insieme o contro gli altri a seconda delle circostanze. Ciò non toglie che poi tutti i capitali per continuare ad esistere abbiano bisogno che venga mantenuto esistente l'ambito capitalista in cui operare. E' da questa contraddizione che nasce la necessità di avere una rappresentanza concreta ma contemporaneamente astratta. Concreta perché il deputato sarà legato a determinati gruppi di potere che l'hanno fatto eleggere ma contemporaneamente astratta perché il deputato dovrà comunque sforzarsi di rappresentare l'interesse generale del capitale che è comunque diverso dall'interesse singolo anche se tende sempre a coincidere con quello del capitale più sviluppato. Interesse generale del capitale è quindi sviluppare le condizioni stesse di esistenza del modo di produzione specificamente capitalista. Questo quindi è il significato reale della necessità di un deputato autonomo non revocabile che è la base di ogni ordinamento democratico borghese. E' ovvio che nel corso del tempo questi aspetti si affinano e si modificano ma la sostanza a tutt'oggi rimane inalterata.
Nella seconda metà del XIX secolo si aprì un periodo caratterizzato da prosperose innovazioni tecnologiche e diffusione di invenzioni preesistenti. Per fare alcuni esempi, con il Processo Bessamer fu possibile ridurre drasticamente i costi di lavorazioni dell’acciaio, incentivando la sua produzione e con questo acciaio a basso costo costruire numerose linee ferroviarie a prezzi più bassi; il perfezionamento della macchina utensile accelerò il processo di produzione; il telegrafo e poi il telefono velocizzarono gli scambi commerciali e finanziari.
Queste invenzioni e innovazioni permisero alla borghesia di aumentare la produttività (e quindi i profitti) abbassando il valore della forza lavoro, cioè il salario dell'operaio, che vedeva la propria capacità di lavoro complessa trasformarsi in macchina e quindi il suo stesso lavoro ora poteva essere fatto da manodopera meno qualificata. Inoltre la classe operaia, non avendo rappresentanza politica, non aveva grandi difficoltà nel migliorare la sua condizione sociale nel processo di trasformazione industriale.
In risposta alle esigenze della classe lavoratrice, nel 1864 nacque la I Internazionale, un organismo che riuniva le organizzazioni operaie di tutti i paesi industrializzati.
Il primo banco di prova delle organizzazioni operaie si ebbe al termine della guerra franco-prussiana del 1871: in seguito alla sconfitta del Secondo Impero francese, il governo tedesco impose una pace amara al nuovo governo, la quale prevedeva l’occupazione militare di Parigi e un risarcimento pari a 5 mld di franchi. I lavoratori della città rifiutarono di collaborare con i tedeschi bloccandoli alle porte e il nuovo governo francese, con il permesso della Germania, dichiarò così guerra alla città di Parigi per liberarla dal controllo dei lavoratori: di fronte al tradimento delle classi dominanti, i proletari di Parigi si impossessarono del governo e dichiararono la nascita della Comune.
L’Assemblea Comunale, come sancito nella bozza della Costituzione, era composta da consiglieri eletti dai distretti della città a suffragio universale maschile, responsabili di fronte al popolo, revocabili in qualsiasi momento e legati al vincolo di mandato. Tutti i consiglieri erano esponenti della classe lavoratrice e detenevano il potere esecutivo e legislativo. A causa della sua breve durata (circa tre mesi), l’Assemblea non ebbe tempo di redigere una definitiva Costituzione comunale; furono tuttavia varati degli importanti provvedimenti che gettarono le basi dei programmi dei futuri partiti socialisti, come l’espropriazione delle ricchezze ecclesiastiche, la gratuità dell’istruzione, il divieto di lavoro notturno e la consegna di fabbriche e laboratori chiusi alle associazioni operaie.
La Comune di Parigi fu espugnata dalle cannonate congiunte del nuovo governo francese e dei tedeschi, alle quali seguì il massacro di 30mila donne e uomini. A memoria di tale evento, ancora oggi è possibile visitare, presso il cimitero Pere Lachaise, il Muro dei Comunardi (dove avvenne l’ultimo eccidio di 147 lavoratori): una silenziosa ed eloquente testimonianza della brutalità con la quale la classe dominante punì i lavoratori che avevano osato uscire allo scoperto per rivendicare i propri diritti.
Gli echi del primo esperimento di autogoverno della classe lavoratrice fecero tremare le corti e i salotti borghesi di tutta Europa, tanto che la borghesia francese, pochi anni dopo, fu costretta a introdurre il suffragio universale maschile (1875): l’intento di tale concessione era quello di attenuare la spinta rivoluzionaria del proletariato il quale, grazie alla rappresentanza politica, si sarebbe subordinato ai meccanismi rappresentativi dello Stato borghese, spostando così il conflitto dai luoghi della produzione al Parlamento.
Tra la fine degli anni ’70 e l’inizio dei ’90 del XIX secolo le organizzazioni socialiste passarono da piccole minoranze emarginate a partiti strutturati sul piano nazionale, partecipando alle elezioni e inviando rappresentanti politici nei parlamenti, abbandonando gradualmente la teoria rivoluzionaria per il riformismo istituzionale.
Tutti i partiti operai proponevano il superamento del capitalismo e si ispiravano a ideali internazionalisti e pacifisti, in virtù dei quali fu sancita la nascita, nel 1889, della II Internazionale: una federazione di partiti d’ispirazione marxista (con una concezione meccanicista della storia) che fissava alcuni obiettivi comuni del movimento operaio internazionale, come la giornata lavorativa di otto ore.
All’inizio del nuovo secolo il dibattito nell’Internazionale sfociò nella formazione di due correnti diametralmente contrapposte: quella rivoluzionaria e quella riformista, maggioritaria. La prassi riformista non seppe risolvere la contraddizione con l’internazionalismo e il pacifismo, la quale esplose all’alba della Prima Guerra Mondiale quando i partiti operai si schierarono con le rispettive borghesie nazionali votando i crediti di guerra, decretando il fallimento della II Internazionale.
In questo periodo il capitalismo si sviluppa nella sua fase superiore e cioè quella dell'imperialismo (che rappresenta il culmine e contemporaneamente l'inizio della decadenza del capitalismo) che nel XX secolo aggiornerà i suoi meccanismi parlamentari. Ma prima di parlare di questo dobbiamo considerare uno sviluppo particolare del governo della borghesia che è quello dei moderni governi dittatoriali fascisti che compiono una cesura irreversibile con tutte le antiche forme di governo dittatoriale.(2)
Alle 9.45 del 7 Novembre 1917, la Russia feudale fu svegliata dal colpo di cannone dell’incrociatore russo Aurora, segnando l’inizio dell’attacco al Palazzo d’Inverno e della rivoluzione socialista, della quale si parlerà più in avanti. Gli echi del cannone dell’Aurora risuonarono in tutti i paesi industrializzati e delle insurrezioni socialiste si ebbero in Germania (rivolta spartachista e Repubblica sovietica bavarese), in Italia (Biennio Rosso), in Ungheria (dove nacque la Repubblica Sovietica), in Olanda (Settimana Rossa), nel Regno Unito (sciopero generale) e persino negli USA, dove lo sciopero generale di Seattle si estese presto nel resto del paese mischiandosi alla rivolta contro la segregazione razziale. Una volta represse le insurrezioni, la borghesia, tenendo a mente la rivoluzione espressa dalla Comune in Francia, si vide costretta a concedere migliori tutele lavorative e il suffragio universale, nello specifico in Olanda (1917), in Italia (1919) e nel Regno Unito (1918).
Questo rapido e potente sviluppo della rivoluzione proletaria gettò nello sgomento e nel terrore la sviluppantesi borghesia imperialista ma ancor di più fu il terrore delle borghesie nazionali. E sopratutto queste erano pronte a dare il potere nelle mani di chiunque fosse in grado di fermare la montante marea rivoluzionaria. Fra le masse pregne di nuove idee sociali non poteva certo trovare spazio un partito dichiaratamente borghese occorreva perciò un'idea nuova. Il “colpo di genio” non poteva che venire da un politico ampiamente interno alle concezioni della lotta di classe per lunga militanza e minimamente capace di elaborazione politica ovvero all'italiano Benito Mussolini (3) che primo nella storia ha scoperto la formula che ora va di moda del “rossobrunismo” o “terzaposizionismo” ovvero di estrapolare dal marxismo alcune idee sociali legandole ad un anticomunismo viscerale e una sostanziale difesa del sistema capitalista. Il suo esempio sarà seguito qualche anno dopo da Adolf Hitler che, per le condizioni particolari di sviluppo e storiche della Germania, trasformò il suo rossobruno partito “nazionalsocialista” in una terrificante macchina da guerra che, non dimentichiamolo, determinò enormi profitti al capitalismo tedesco. (4)
Che questo sia vero lo dimostra il successivo sviluppo storico.
L’insurrezione socialista italiana rappresenta un’anomalia rispetto al resto dell’Europa occidentale non solo per la durata, ma per le forme innovative della reazione borghese. Dovendo fronteggiare un partito socialista che continuava a crescere nonostante il fallito tentativo rivoluzionario e la concessione del suffragio universale, la Corona affidò il governo a Mussolini, leader del Partito Nazionale Fascista (PNF), il quale nei tre anni precedenti, con il sostegno degli industriali, si distinse per le violenze contro le organizzazioni socialista e sindacale: la classe operaia, che fu in origine un elemento di sviluppo del capitalismo, per via della sua combattività e delle aspirazioni al potere diventò quindi un impedimento per la conservazione del dominio della borghesia.
La fascistizzazione del paese avvenne in due fasi: nella prima, gli organi statutari (previsti dalla costituzione del 1848) furono affiancati da organi paralleli del Partito Nazionale Fascista: la Presidenza del Consiglio dal Gran Consiglio del Fascismo; i ministri del governo dai fiduciari (i quali dovevano controllare l’operato dei Ministeri); il Regio Esercito dalla Milizia. Il pluripartitismo fu conservato fino al 1926, quando le leggi fascistissime diedero inizio alla seconda fase della fascistizzazione, leggi che prevedevano l’esautorazione degli organismi statutari attraverso l’instaurazione del partito unico, la sostituzione formale della Presidenza del Consiglio con il Gran Consiglio del Fascismo, la messa al bando di tutti i sindacati (eccetto quelli fascisti) e degli scioperi, censura e controllo sulla stampa. Formalmente, fu mantenuta l’elettività della camera bassa del Parlamento (dove però i candidati erano scelti dai vertici del PNF) fino al 1939, quando questo fu sostituito dalla Camera dei Fasci e delle Corporazioni, composta dai membri del Gran Consiglio del Fascismo, dai vertici del PNF, dai ministri e dai rappresentati dei sindacati fascisti e delle organizzazioni imprenditoriali.
Con la fine della Seconda guerra mondiale e la conferenza di Yalta che determina la spartizione del mondo in aree di influenza lo sviluppo della rappresentanza borghese arriva nella sua fase decadente.
Punto di riferimento divengono il sistema americano e quello inglese entrambi basati su un sostanziale bipolarismo tra due grandi partiti: il conservatore che dovrebbe rappresentare l'ala destra nei tipi di parlamento derivati dalla rivoluzione francese e il progressista che dovrebbe rappresentarne l'ala sinistra. E' intuitivo che “conservatore” e “progressista” sono termini vaghi che vanno riempiti di significato a seconda delle contingenze storiche e politiche pertanto a favore della borghesia imperialista possono muoversi tanto i progressisti che i conservatori e viceversa.
Ma c'è di più lo schema bipartitico o meglio bi-raggruppamento, perché ognuno dei due rappresenta un coacervo di tendenze differenti, è anche un'indicazione di ingresso nel pensiero totalmente borghese che quindi non conosce differenza di sostanza ma solo di forma tra i due partiti.
Togliendo il velo ideologico la sostanza dell'operazione è questa: di fronte alla minaccia dello sviluppo del comunismo la scelta è quella della depoliticizzazione dello scontro e della sua trasformazione in attrito individuale spesso molto più bellicoso dal punto di vista formale ma assai pacifico sul piano sostanziale.
Questo passaggio se pur ha trovato adesione pressoché immediata nell'Europa del centro-nord ha necessitato un tempo molto più lungo nell'Europa meridionale. Qui la forma partito come rappresentanza di una classe o frazione di essa si è conservata per un tempo più lungo perché in questi paesi la lotta di classe è rimasta accesa per la consistenza organizzata della classe operaia tale da far configurare la lotta anche in forma armata.
A tal proposito basti ricordare: dalla parte del proletariato la resistenza armata alla dittatura franchista fino alla sua conclusione, proseguita poi dal popolo basco, la lotta dell'IRA per l'indipendenza dell'Ulster, la rivoluzione dei garofani portoghese, la lotta del popolo basco per il proprio affrancamento e la lotta armata in Germania, Italia, Francia, Belgio; dalla parte della borghesia il colpo di stato dei colonnelli greci, i tentativi di colpo di Stato con le stragi a suon di bombe italiani.
Solo dopo l'inizio della crisi generale del capitale di metà degli anni '80 anche i paesi della fascia mediterranea hanno iniziato a muoversi verso la rappresentanza di tipo bipartitico.
Se esaminiamo il carattere generale delle democrazie occidentali postbelliche, pur nelle molteplici forme che derivano dalle condizioni storiche di sviluppo dei vari paesi, notiamo come nel cuore di tutte ci sia la pacifica accettazione che il compito primario dello Stato è quello di garantire l'esistenza delle forme più avanzate di capitale le quali non vanno contrastate nelle esigenze del loro sviluppo. Compito della politica è di spartire le briciole e di regolare i rapporti tra le altre classi subordinate. Questo è ciò che fa sì che i programmi dei vari partiti siano sostanzialmente uguali negli scopi generali per cui la concorrenza fra gli stessi avviene spesso in forme accesissime intorno a problemi che comunque non intaccano minimamente il potere del capitale sulla società. In questo senso lo scontro si personalizza e si muove su astratte figure retoriche che rappresentano piccoli interessi di bottega.
Nella sostanza la democrazia rappresentativa borghese moderna si muove su due forme possibili: quella socialdemocratica e quella liberista. La prima esiste in una minoranza di paesi perché per esistere necessita di un ben strutturato patto sociale fra borghesia e proletariato accompagnato da un alto concetto di disciplina sociale in cui l'operaio accetta lo sfruttamento padronale in cambio di alcuni benefici materiali e il capitalista accetta la concessione di salari più alti in cambio della pace sociale. La seconda si basa sulla compressione della classe operaia senza regole senza garanzie per i poveri e in cambio concede solo la speranza di vincere alla lotteria della scalata sociale; è inutile dire che questa è la forma più diffusa.
Per ricollegarci al discorso fatto sulle dittature di tipo fascista è ovvio che è la forma liberista quella più consona al capitale in quanto è la meno costosa dal punto di vista della gestione dello Stato e della spesa sociale.
Centrando sulla rappresentanza perciò si accentua l'aspetto per cui il deputato ha il dovere di rappresentare solo l'interesse generale del capitale nella sua parte più avanzata (interesse generale della nazione).Un primo passaggio di ciò, e specificato in quasi tutte le costituzioni europee occidentali, è la sanzione in forma chiara che il rappresentate politico è sganciato da qualunque mandato imperativo e suo dovere è quello di rappresentare l'interesse generale del paese. Alcuni esempi:
Costituzione della Repubblica Italiana 1947
“Art. 67. Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”.
Costituzione della BDR Tedesca 1949
“Articolo 38 [Elezioni]
1)I deputati del Bundestag sono eletti a suffragio universale, diretto, libero, uguale e segreto. Essi sono i rappresentanti di tutto il popolo, non sono vincolati da mandati né da direttive e sono soggetti soltanto alla loro coscienza”.
Costituzione della Repubblica Francese 1958
“Art. 27. - Il mandato imperativo è nullo.
Il diritto di voto dei membri del Parlamento è personale”.
Costituzione del Regno del Belgio 1994
“Art. 42 I membri delle due Camere rappresentano l’intera Nazione e non solamente coloro che li hanno eletti”.
E' abbastanza ovvio che il deputato negli affari correnti ha il diritto di rappresentare gli interessi della propria lobby di appartenenza. Questa libertà riconosciuta, che nei partiti si trasforma in correnti, conosce il solo limite di non rappresentare i propri interessi. Siccome affermare questo in una società borghese è ridicolo, per contrastare l'eccessivo impegno sui propri interessi dei parlamentari sono state create tutta una serie di figure giuridiche dal conflitto di interessi all'interesse privato in atti d'ufficio, ecc. per cercare di contrastare un'ovvietà in una società dove la speranza di progresso sta solo nella scalata sociale.
C'è un altro punto di gestione della rappresentanza che va esaminato a fondo perché oggi è fondante di molte formazioni politiche in tutta Europa e non solo. Per comprenderlo è necessario ripartire dalla fine della seconda guerra mondiale.
La spartizione delle zone di influenza, conseguenza della Conferenza di Yalta ha creato problemi ai partiti e formazioni comuniste dell'Europa dell'ovest. Queste sempre presenti in tutte le resistenze e formazioni partigiane si sono trovare a che fare con una base e diversi quadri intermedi che non vedevano l'ora di sviluppare una lotta rivoluzionaria. Questo fatto era così palese che il governo americano preparò ed addestrò immediatamente una forza segreta pronta ad organizzare dei golpe militari in caso di vittoria delle forze socialiste e comuniste nei vari paesi dell'Europa occidentale, la nota “Stay behind” che assunse nomi fantasiosi in ogni paese. La NATO fu costituita con collegamento diretto a questa formazione segreta.
In questo quadro le direzioni della maggior parte dei partiti comunisti impregnate di revisionismo si mossero in modo che la famosa “ora x” (5) divenisse sempre più una vaga chimera. D'altro canto di fronte alle masse non troppo inclini al pacifismo non si poteva non presentare un nemico da abbattere per la conquista di un futuro migliore.
Cominciò a prendere corpo così una lotta legalitaria contro tre piaghe: la corruzione, gli sprechi di denaro pubblico, la mafia (in particolare in Italia).
Sgombriamo subito il campo da quest'ultima: è facilmente dimostrabile che storicamente ogni forma di mafia nasce e si sviluppa come sottogoverno, ovvero il potere subappalta l'ordine pubblico di una zona dove ha difficoltà di penetrazione a forme di organizzazione locale in cambio di un laissez-faire su affari più o meno loschi. Basti studiare la nascita della “mafia della campagne” siciliana e della camorra napoletana sotto il Regno dei Borboni, lo sviluppo della moderna mafia in cambio dell'aiuto allo sbarco americano in Sicilia.
Si può notare in maniera altrettanto semplice che in tutti i paesi dove si è instaurata la dittatura del proletariato la mafia è immediatamente sparita, salvo poi riapparire in quei paesi in cui la dittatura del proletariato si indeboliva sotto i golpe della controrivoluzione borghese. E questo semplicemente perché il controllo proletario e popolare sul territorio, che è capillare al massimo livello, blocca sul nascere qualunque forma mafiosa.
Da ciò ne deriva che qualunque seria lotta alla mafia significa lotta alla dittatura della borghesia, pertanto è impossibile che la borghesia faccia la lotta alla mafia tout court, è serio invece che faccia una lotta selettiva alla stessa quando in qualche campo la mafia acquisisce troppo spazio o uno spazio che non le è consentito.
Ma veniamo alla corruzione e agli sprechi come aspetti più sottili e penetranti. Ogni forma di Stato, dittatura dei re, dittatura della borghesia, dittatura del proletariato, per esistere nel modo migliore deve lottare contro la corruzione e gli sprechi. Questi problemi però per quanto grandi che siano non ne intaccano la sua struttura (anche se è vero il contrario, una struttura indebolita favorisce lo sviluppo esponenziale della corruzione) ma ciò, ad un'occhiata superficiale o poco competente, non è palesemente evidente (questo vale anche per il discorso sulla mafia). Nel tempo, e soprattutto con la perdita dei riferimenti di classe, il concetto di lotta alla corruzione ha teso a divenire assoluto fino a consolidarsi in forma partito: il partito degli onesti.
In realtà queste forme fantasiose di rappresentanza borghese non sono una novità, basti pensare alla lunga vita nella socialdemocratica Svizzera del partito degli automobilisti.
Ma quello che distingue l'attuale passaggio è che i partiti degli onesti riescono a trovare ampi spazi di elettorato mettendo nei problemi la divisione bipartitica, sopratutto in Italia e Spagna.
Ma non è solo il “partito degli onesti” a modificare il quadro della rappresentanza attuale, il progressivo sganciamento della stessa dalle classi, personalizzando lo scontro, ha aperto la possibilità ai capitalisti di rappresentare se stessi, ovvero a saltare la mediazione di figure specializzate e prendere in prima persona il governo della cosa pubblica. Nel corso degli anni il fenomeno di deputati e senatori proprietari o capitani d'industria ha teso ad allargarsi mancava però il salto di qualità: un tycoon a capo del governo. Ancora una volta agli italiani spetta il genio della scoperta (vedi Berlusconi), e agli altri quello dei fatti (vedi Trump). Ciò è parte della decadenza del sistema di rappresentanza borghese che, sganciando i partiti dalle classi, se da una parte ottiene più confusione programmatica (che maschera meglio il programma vero di adesione agli interessi della frazione più avanzata della borghesia) e meno attriti sociali; dall'altra fa schizzare forme progressivamente sempre più soggettive (e meno controllabili) di concezione politica.
Infine, un compito fondamentale della rappresentanza politica postbellica è legato alla gestione della guerra. Un vanto della costruenda Unione Europea è la conquista di un “Europa di pace”, ciò ovviamente e storicamente non significa che l'Europa occidentale rifiuta la guerra ma soltanto che cerca di non farla nei propri confini. E' sufficiente osservare l'impegno europeo nello sviluppo della cosiddetta “guerra fredda” contro l'Unione Sovietica, insieme allo sviluppo delle numerose “guerre calde” nei paesi della periferia a cominciare dalle guerre coloniali del dopoguerra di Francia, Belgio, Portogallo; agli interventi di peace-keeping, alle numerose e violente guerre in Medio Oriente fino a completare il quadro del ritorno della guerra in Europa in Jugoslavia e infine in Ucraina.
Non è compito di questo lavoro entrare nel ginepraio di interventi diretti o indiretti fatti dai paesi occidentali per garantire la “pace nel mondo”, quello che qui interessa è mostrare come fra i compiti della rappresentanza democratica borghese ci sia ormai la gestione della guerra come fatto irrinunciabile.
1) il taglio della testa dei monarchi assoluti e della loro genia non rappresenta il lato feroce della borghesia ma la necessità storica di abolire un potere diretto e personale, quello del feudatario, per trasformarlo in un potere indiretto e impersonale, quello del capitale sull'intera società.
2)facciamo qui riferimento alla differenza che esiste fra forma di Stato e forma di governo. La prima attiene alla struttura dello Stato ossia specifica quale classe detenga il potere in maniera esclusiva e quindi sia il governo dei rapporti di produzione esistenti. Attualmente può essere solo dittatura della borghesia che nel corso dei secoli ha detronizzato tutte le precedenti classi al potere, o dittatura del proletariato che è l'unica classe oggi in grado di sottrarre il potere alla borghesia. All'interno ogni forma Stato esistono varie forme di governo che va dai diversi tipi di democrazia alla dittatura.
3) Mussolini comincia la sua carriera politica con l'iscrizione al Partito Socialista Italiano (PSI). Poco tempo dopo incappa in una vera avventura. Allo scopo di sottrarsi al servizio militare, infatti, fugge in Svizzera, dove conosce importanti esponenti rivoluzionari, rimanendo fra l'altro affascinato dalle idee di stampo marxista. Rientrato in Italia nel 1904 dopo essere stato espulso dai cantoni per ripetuto ed esasperato attivismo antimilitarista e anticlericale, scampa la pena prevista per la renitenza alla leva grazie ad un errore burocratico, per compiere quindi il servizio militare nel reggimento di bersaglieri di stanza a Verona. Per un breve periodo trova anche il tempo per insegnare presso Tolmezzo ed Oneglia (1908), dove tra l'altro collabora attivamente al periodico socialista "La lima"; dopodiché, torna a Dovia.
L'attività politica però continua incessante. Fra l'altro, viene imprigionato per dodici giorni per aver sostenuto uno sciopero di braccianti. Ricopre quindi la carica di segretario della Camera del Lavoro a Trento (1909) e dirige un altro quotidiano: "L'avventura del lavoratore". Si scontra presto con gli ambienti moderati e cattolici e, dopo sei mesi di frenetica attività propagandistica viene espulso dal giornale tra le vibranti proteste dei socialisti trentini suscitando una vasta eco in tutta la sinistra italiana, tra l'altro si fa notare come antimonarchico scrivendo sulla lapide di Umberto I° di Savoia nella Cappella Espiatoria di Monza la frase “monumento a Bresci”.
Successivamente la dirigenza socialista forlivese gli offre la direzione del settimanale "Lotta di classe" e lo nomina proprio segretario. Al termine del congresso socialista a Milano dell'ottobre 1910, ancora dominato dai riformisti, Mussolini pensa di scuotere la minoranza massimalista, anche a rischio di spaccare il partito, provocando l'uscita dal PSI della federazione socialista forlivese, ma nessun altro lo segue nell'iniziativa. Quando sopraggiunge la guerra in Libia, Mussolini appare come l'uomo più adatto a impersonare il rinnovamento ideale e politico del partito. Protagonista del congresso emiliano di Reggio Emilia e assunta la direzione del quotidiano "Avanti!" alla fine del 1912, diventa il principale catalizzatore delle insoddisfazioni della società italiana, piegata da crisi economiche e ideali.
4) questa presentazione forse a qualcuno potrebbe far pensare che i regimi fascisti sono i migliori per il capitalismo ma non è così, soprattutto nella sua frazione più avanzata cioè nella borghesia imperialista che l'accetta solo come extrema ratio per combattere il comunismo perché limita i movimenti dei propri capitali e genera dei sistemi di Stato troppo onerosi che hanno la necessità di alta spesa sociale per avere il favore di una parte della popolazione.
5) così veniva indicata l'ora di inizio dell'insurrezione generale come codificata nel Primo -ed unico- Congresso della III Internazionale del 1928. Questo congresso dette l'incarico ad un gruppo di dirigenti tra cui Ercoli -Togliatti- di tradurre questo programma in forma esemplificata a mo di manuale della rivoluzione, questo lavoro si concretizzo nel noto libro “L'insurrezione armata” firmato con lo pseudonimo Neuberg.
Quando attraverso le lotte e il lavoro dei propri dirigenti, dai proto-socialisti in poi, la classe operaia inizia a trasformarsi da classe in sé a classe per sé la rappresentanza politica inizia ad avere un nuovo significato.
Innanzi tutto il suffragio universale prende il significato di tutti e la proto rivoluzione proletaria di Parigi (1870) mostra come la classe operaia sia capace di ragionare ed agire.
Nell'immediato il problema è di dare un nuovo significato al deputato da rappresentate astratto dell'interesse nazionale a rappresentante concreto dell'interesse della classe che lo ha eletto: “La Comune fu composta dai consiglieri municipali eletti a suffragio universale nei diversi mandamenti di Parigi, responsabili e revocabili in qualunque momento. La maggioranza dei suoi membri erano naturalmente operai, o rappresentanti riconosciuti dalla classe operaia. La Comune doveva essere non un organismo parlamentare, ma di lavoro, esecutivo e legislativo allo stesso tempo. Invece di continuare a essere l'agente del governo centrale, la polizia fu immediatamente spogliata delle sue attribuzioni politiche e trasformata in strumento responsabile della Comune, revocabile in qualunque momento. Lo stesso venne fatto per i funzionari di tutte le altre branche dell'amministrazione. Dai membri della Comune in giù, il servizio pubblico doveva essere compiuto per salari da operai. I diritti acquisiti e le indennità di rappresentanza degli alti dignitari dello stato scomparvero insieme con i dignitari stessi. Le cariche pubbliche cessarono di essere proprietà privata delle creature del governo centrale. Non solo l'amministrazione municipale, ma tutte le iniziative già prese dallo stato passarono nelle mani della Comune. (….) I magistrati e i giudici dovevano essere elettivi, responsabili e revocabili come tutti gli altri pubblici funzionari.” (Karl Marx “La guerra civile in Francia”).
Il mandato diviene preciso, responsabile e sempre revocabile, non quindi un mandato imperativo di tipo medievale ma un mandato legato alla responsabilità politica di chi lo riceve, responsabilità della quale deve rispondere in qualunque momento. Quindi il suo mandato è ristretto ma non dal fatto che deve rappresentare una parte sociale contro le altre parti sociali, ma dal fatto che o fa gli interessi unici della classe lavoratrice o opportunisticamente cerca di fare i propri interessi e pertanto può essere cacciato.
E' quindi la natura di classe diversa che da significato diverso alla funzione.
Questo però è il primo passaggio verso una diversa democrazia semplificato dal fatto che, per quanto grande, si trattava di amministrare un'unica città. La realtà dello sviluppo della rivoluzione proletaria ha dimostrato che il problema è assai più complesso.
Come abbiamo mostrato, la differenza tra borghesia e proletariato dal punto di vista della rappresentanza sta nel fatto che mentre la prima deve superare la contraddizione di essere contemporaneamente divisa (i capitali lottano gli uni contro gli altri) e unita (i capitali possono svilupparsi solo in un ambiente specificamente capitalista), la seconda si presenta come classe unitaria. Per questo mentre la prima ha bisogno di una rappresentanza parzialmente autonoma in grado cioè di fare gli interessi della classe borghese invece che solo del singolo capitale, la seconda ha una necessità nuova e diversa: quella di mettere in relazione il singolo lavoratore, o gruppo di lavoratori, col governo dello Stato.
E' facile intuire che un problema del genere non è affatto di semplice soluzione perché presenta problematiche molto complesse che possono essere risolte completamente soltanto attraverso la sperimentazione che si è sviluppata sul piano storico.
Nel 15 (2) novembre del 1917 la neonata Confederazione Sovietica scriveva la “Dichiarazione dei diritti dei popoli della Russia” nella quale veniva affermato : “La rivoluzione di ottobre, degli operai e dei contadini, è cominciata sotto l’insegna comune dell’affrancamento. I contadini sono affrancati dal potere dei proprietari fondiari, poiché non esiste più la proprietà padronale sulla terra: essa è soppressa. I soldati e i marinai sono affrancati dal potere dispotico dei generali, poiché d’ora innanzi i generali saranno elettivi e revocabili. Gli operai sono affrancati dai capricci e dall’arbitrio dei capitalisti, poiché da oggi in poi verrà stabilito il controllo degli operai sulle officine e sulle fabbriche.”
Più avanti “All’epoca dello zarismo i popoli della Russia erano aizzati sistematicamente gli uni contro gli altri. I risultati di questa politica sono noti: da una parte massacri e devastazioni, dall’altra schiavitù dei popoli. (…...) Diritto dei popoli della Russia alla libera autodeterminazione, fino alla separazione e alla costituzione di uno Stato indipendente. 3) Soppressione di tutti i privilegi e di tutte le limitazioni nazionali e nazional-religiose. 4) Libero sviluppo delle minoranze nazionali e dei gruppi etnici abitanti sul territorio della Russia”
Si inizia cioè a a stabilire delle nomine fatte sotto il controllo popolare, e quindi revocabili, e a sancire il pieno diritto degli operai ad a organizzarsi sul territorio nella maniera che ritengono più opportuna (ovvero prendere in mano le redini del governo locale). Quest'ultimo aspetto mostra come la concezione proletaria sia una concezione unitaria poiché gli interessi dei lavoratori sono i medesimi ovunque e pertanto non esistono remore o preoccupazioni a sancire la possibilità della secessione comunque e sempre.
La costituzione sovietica del 1918 fa un passo avanti e pone in chiaro il problema del potere: “La Repubblica Russa è una libera società socialista di tutti i lavoratori della Russia. Tutto il potere entro i confini della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa appartiene alla popolazione operaia del Paese nella sua totalità, unita nei Soviet delle città e delle campagne”.
La soluzione è palese: la costruzione di un potere diverso e distante da quello della borghesia si fa garantendo il potere nelle mani dei lavoratori delle città e delle campagne.
Se il principio è indiscutibilmente questo, la modalità della sua concretizzazione non è altrettanto intuitiva sopratutto posta in un paese enorme con lingue e tradizioni molto diverse tra loro: “I Soviet delle regioni che si distinguono per usanze particolari o per la composizione nazionale possono associarsi in unioni regionali autonome, alla testa delle quali – come in generale nel caso di tutti gli altri raggruppamenti regionali che potranno formarsi in futuro – si trovano i congressi regionali dei Soviet e i loro organi esecutivi. Queste unioni regionali autonome entrano nella Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa secondo i principi della federazione”.
Questo è il primo dei problemi che fa capire come un lavoro complesso come quello di mettere in relazione operai e contadini col governo del paese non ha soluzioni semplici e neppure lineari.
Se i Soviet sono lo sviluppo dei comitati di sciopero, questo sviluppo ha bisogno di tempo e consolidamento. Infatti la costruzione e stabilizzazione dei Soviet avviene in maniera progressiva e sperimentale. Poniamo due testimonianze di spettatori attenti e non ostili:
“All’inizio, i Soviet erano i comitati di sciopero che si formavano durante questi scioperi spontanei. Scoppiavano all’improvviso nelle grandi industrie, si estendevano da una fabbrica all’altra, raggiungevano rapidamente tutta una città, vaste regioni, e qualche volta l’intero paese: era quindi essenziale avere dei mezzi di comunicazione reciproca. Nelle fabbriche, i lavoratori tenevano continuamente delle riunioni. (…) Allora dei delegati venivano inviati alle altre fabbriche (…) Ma c’era una differenza fra i soviet ed i normali comitati di sciopero: la posta in gioco era questa volta di gran lunga superiore. Il problema era quello di spezzare la pressione insopportabile del dispotismo governativo, ed ognuno capiva che attraverso l’azione dei soviet la società intera sarebbe stata trasformata. Venivano discussi non soltanto quei problemi che riguardavano il lavoro di fabbrica, ma ogni altro problema politico e sociale. Su ogni cosa doveva essere presa una decisione, ed erano i soviet che, da soli, dovevano trovare la strada giusta per risolvere tutti i diversi problemi. (…) Quando l’intera vita sociale veniva in questo modo bloccata, quando il movimento di sciopero si impadroniva di tutta la città o di tutto il paese, i soviet si trovavano di fronte a nuovi compiti. Dovevano organizzare l’intera vita pubblica, controllare l’ordine e la sicurezza, curare i servizi indispensabili: diventavano così, di fatto, una specie di governo, dal momento che le loro decisioni erano seguite dagli operai” (Anton Pannekoek [1873-1960], socialista e astronomo olandese).
“Il Soviet si basa direttamente sugli gli operai delle fabbriche e i contadini delle campagne. (….)
In principio i delegati dei Soviet degli operai, dei contadini e dei soldati erano eletti secondo regole che variavano a seconda delle necessità, e della popolazione dei differenti luoghi. In alcuni villaggi i contadini sceglievano un delegato ogni cinquanta votanti. I soldati in guarnigione fornivano un certo numero di delegati per ogni reggimento, in relazione alla forza di esso; gli eserciti in campo però seguivano un sistema di elezione diverso. Allo stesso modo degli operai delle grandi città trovarono presto che i loro Soviet riuscivano troppo pesanti se non si limitavano i delegati a uno per ogni cinquecento votanti. Cosi pure i primi due Congressi dei Soviet di tutta la Russia furono rigorosamente basati sul sistema di eleggere un delegato ogni 25 mila votanti, ma di fatto i delegati rappresentavano masse elettorali di diversa entità. (…..)
Nel marzo la costituzione dei Soviet fu elaborata fino in fondo nei particolari e applicata universalmente.
Il diritto di suffragio fu limitato: <<Ai cittadini della Repubblica socialista russa che abbiano compiuto i 18 anni d'età al giorno delle elezioni... e a tutti coloro che si guadagnano la vita con un lavoro produttivo e utile alla Società e che sono membri delle organizzazioni economiche...>>
Erano privati dal diritto di voto: coloro che impiegano il lavoro altrui per trarne profitto, coloro che vivono di un reddito non guadagnato col lavoro, i commercianti e gli agenti privati di commercio, i membri di comunità religiose, gli antichi membri della polizia e della gendarmeria, i membri della antica famiglia regnante. I deficienti, i sordo-muti, i condannati per delitti infamanti e commessi a scopo di lucro. (…...)
Il Soviet dei deputati degli operai e dei soldati di Pietrogrado, che funzionava quand'io ero in Russia, può dare un esempio del funzionamento delle organizzazioni governative urbane nello Stato socialista.
Esso era formato di quasi 1.200 deputati, e in circostanze normali teneva una sessione Plenaria ogni due settimane. In pari tempo, esso era formato da un Comitato esecutivo centrale di 110 membri, eletti in base alla rappresentanza proporzionale dei partiti, e questo Comitato centrale esecutivo aveva mediante inviti chiamato a partecipare alla opera sua membri delegati dei comitati centrali di tutti i partiti politici, dei comitati centrali delle Unioni professionali, delle Commissioni di fabbrica, e di altre organizzazioni democratiche.
Accanto al grande Soviet della città, vi erano inoltre dei Soviet rionali, costituiti dai delegati di ogni rione aI Soviet cittadino, e ad essi spettava l'amministrazione della loro parte di città. Naturalmente in alcuni rioni non vi erano fabbriche e quindi di regola non esistevano rappresentanze di questi rioni nel Soviet cittadino né in quelli rionali. Ma il sistema dei Soviet è estremamente flessibile, e se i cuochi e i camerieri, o gli spazzini o le persone di servizio, o i vetturini di questo rione si organizzavano e chiedevano di avere una rappresentanza, venivano loro concessi dei delegati.
Le elezioni dei delegati sono basate sulla rappresentanza proporzionale, il che vuol dire che i partiti politici sono rappresentati in misura esattamente proporzionale al numero dei votanti di tutta la città.
In tal modo si vota per i partiti e per i programmi politici, non per le persone dei candidati. I candidati sono designati dai comitati centrali dei partiti politici, che possono sostituire altri membri del partito. Inoltre i delegati non sono eletti per un periodo di tempo determinato, ma sono ad ogni istante soggetti ad essere revocati.
Non fu mai creato nessun corpo politico cosi sensibile e cosi rispondente al volere popolare. E ciò era necessario perchè in tempo di rivoluzione il volere popolare muta con grande rapidità”. (John Reed 1887– 1920)
Costruire questo nuovo potere è un lavoro vero e proprio che non conosce scorciatoie e semplificazioni e sopratutto non può essere stabilito dall'alto per via burocratica. Infatti la costituzione sovietica dedica ampio spazio alle garanzie che vanno date alle masse per esercitare il loro potere, ovvero l'esercizio del potere non può essere disgiunto dalle condizioni materiali che ne permettono l'esistenza:
“14. Al fine di garantire ai lavoratori un’effettiva libertà di esprimere le proprie opinioni, la Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa sopprime la dipendenza della stampa dal capitale, trasferisce nelle mani della classe operaia e dei contadini poveri tutti i mezzi tecnici e materiali [necessari] per la pubblicazione di giornali, opuscoli, libri ed altre opere a stampa, ed assicura la loro libera diffusione in tutto il paese.
15. Al fine di assicurare ai lavoratori un’effettiva libertà di riunione, la Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa riconosce ai cittadini della Repubblica Sovietica il diritto di organizzare liberamente riunioni, comizi, cortei, ecc., e mette a disposizione della classe operaia e dei contadini poveri tutti i locali idonei all’organizzazione di assemblee popolari, con il mobilio, l’illuminazione e il riscaldamento.
16. Al fine di assicurare ai lavoratori un’effettiva libertà di associazione, la Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa, dopo avere spezzato il potere economico e politico delle classi possidenti ed eliminato così tutti gli ostacoli che nella società borghese impedivano finora agli operai e ai contadini di godere della libertà di organizzazione e di azione, offre agli operai e ai contadini più poveri tutta la sua assistenza materiale e di altro genere affinché essi possano unirsi ed organizzarsi.
17. Al fine di assicurare ai lavoratori l’effettivo accesso alla cultura, la Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa si prefigge come compito di dare un’istruzione completa, generale e gratuita agli operai e ai contadini più poveri”.
Questa chiara impostazione tra l'altro sbugiarda la vecchia e logora tesi borghese che la democrazia popolare non è pluralista.
Nell'analisi, la democrazia popolare fa da cartina al tornasole di tutte le problematiche che l'ideologia borghese maschera da pregi. Vediamo il significato di pluralismo borghese: per la borghesia pluralismo significa dare la possibilità a tutte le sue fazioni di essere rappresentate in parlamento e, nel caso della borghesia imperialista, la possibilità di rappresentare in parlamento le maggiori concentrazioni di capitale. Ciò perché tutte queste fazioni hanno realmente fra loro interessi in conflitto e il parlamento deve rappresentare la ricomposizione di questi interessi nel mantenimento di un ambito capitalista. Nel pluralismo borghese non esiste alcuno spazio agli interessi della classe lavoratrice se non in forma molto trasfigurata tradotta nella cosiddetta “spesa sociale” o “politiche di aiuto al disagio”.
In altre parole è la tradizione socialdemocratica che mostra lo Stato come organo di conciliazione tra le classi proprio per mascherare che in realtà è conciliazione fra le frazioni della classe borghese.
Il pluralismo operaio ha invece un significato politico perché nel parlamento operaio non esiste conflitto di interessi, l'interesse è uno solo: abolire lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo (su questo ritorneremo più avanti in maniera estesa). L'interesse è uno solo ma le idee su come governare questo passaggio sono molteplici, diverse e variegate e non è dato per scontato a priori quale sia la migliore, è questo che rende la democrazia popolare una reale democrazia perché l'idea migliore o più adeguata al momento si costruisce collettivamente con il contributo di tutti. E compito dei partiti operai è di essere sempre all'avanguardia in questo percorso lasciando spazio e portando avanti le istanze più adeguate che sorgono dalle masse.
Tutto ciò dal punto di vista formale necessita di una costruzione piramidale ben strutturata che, va detto, non è data una volta per sempre ma deve essere sempre aggiornata alle esigenze specifiche che sorgono nella società, allo sviluppo delle relazioni e dei mezzi sociali di comunicazione.
La costituzione sovietica del 1918 è molto attenta a questa costruzione, dal livello più alto:
“25. Il Congresso panrusso dei Soviet è composto dai rappresentanti dei Soviet di città, in ragione di un deputato ogni 25.000 elettori, e dai rappresentanti dei congressi dei Soviet di provincia, in ragione di un deputato ogni 125.000 abitanti. Nota I. – Quando il congresso provinciale dei Soviet non precede il Congresso panrusso dei Soviet, i delegati al Congresso panrusso sono inviati direttamente dai congressi distrettuali dei Soviet. Nota II. – Quando il congresso regionale dei Soviet precede immediatamente il Congresso panrusso dei Soviet, i delegati al Congresso panrusso possono essere inviati dal congresso regionale dei Soviet”.
Al livello di base:
“57. I Soviet dei deputati sono costituiti: a) nelle città, in ragione di 1 deputato ogni 1.000 abitanti, ma in modo che il numero totale dei deputati non sia inferiore a 50 nè superiore a 1.000; b) negli agglomerati rurali (borgate, villaggi, stanica, frazioni, città con popolazione inferiore a 10.000 abitanti, aul, chutor, ecc.), in ragione di l deputato ogni 100 abitanti, ma in modo che il numero totale dei deputati non sia inferiore a 3 nè superiore a 50 per ogni agglomerato rurale. La durata del mandato dei deputati è di 3 mesi. Nota: Nelle località rurali dove ciò sia possibile, le questioni amministrative sono risolte direttamente dall’assemblea generale degli elettori dell’agglomerato urbano in questione.
58. Per lo svolgimento del proprio lavoro ordinario, il Soviet dei deputati elegge tra i suoi membri un organo esecutivo (comitato esecutivo), composto nei villaggi da 5 persone al massimo, nelle città da l membro ogni 50 membri, ma con un minimo di 3 e un massimo di 15 membri (per le città di Pietroburgo e di Mosca il numero massimo è elevato a 40). Il comitato esecutivo è interamente responsabile di fronte al Soviet da cui è stato eletto. 59. Il Soviet dei deputati è convocato dal comitato esecutivo per iniziativa di quest’ultimo o su richiesta di almeno la metà dei membri del Soviet; in ogni caso, [esso deve essere convocato] almeno l volta alla settimana nelle città e 2 volte alla settimana negli agglomerati rurali. 60. Nei limiti della rispettiva competenza, il Soviet e, nel caso previsto dall’art. 57 (nota), l’assemblea generale degli elettori sono l’organo superiore del potere nel territorio considerato”.
Il primo punto critico della piramide è l'estrema funzionalità che deve avere, infatti l'iniziativa come pure il controllo devono viaggiare nelle due direzioni con la stessa velocità e con la stessa efficacia e questo non è facile da mantenere.
Il secondo punto critico si mostra quando la politica non è più al posto di comando.
Il terzo punto critico è dato dal ruolo che il partito comunista (ed eventualmente altri partiti operai) svolge in questo processo.
Per sviluppare questa problematica è necessario tornare alla figura del deputato. Si comprende come questo abbia due compiti fondamentali che sono in contraddizione tra loro, da una parte deve riportare all'istanza superiore le indicazioni chiare emerse nella sua istanza di dibattito, dall'altro deve avere un sufficiente grado di autonomia per sviluppare in avanti le indicazioni insieme agli altri delegati per poter inviare al successivo momento organizzato una sintesi adeguata ad essere sviluppata ad un livello più generale. Oltre a ciò deve avere la capacità di spiegare tutti i suoi comportamenti ai propri deleganti per fare sì che possano adeguatamente controllarlo e, contemporaneamente, fare da controllore sui propri deleganti affinché non perdano il giusto rapporto col dibattito. Un equilibrio quindi complesso che non trova mai nella semplificazione una spinta propulsiva, anzi.
Foriera di contraddizioni che tendono ad intercettare questo processo esaltandone i punti critici è la natura del socialismo spesso male interpretata.
Come è stato chiarito da Marx in avanti, il socialismo non è un modo di produzione proprio, il nuovo modo sarà il comunismo che può svilupparsi solo attraverso il controllo generale dell'economia mondiale. Il socialismo in realtà interviene sostanzialmente nella sfera della sovrastruttura ovvero muta i rapporti di proprietà generali della società. Questo fa sì che la rivoluzione socialista sia una rivoluzione eminentemente politica e che quindi la dittatura del proletariato debba essere molto più sviluppata e all'avanguardia della dittatura della borghesia in quanto quest'ultima poggia su di un modo di produzione consolidato (tralasciamo in questa esposizione la problematica relativa alla contraddizione imponente in questa fase generatasi fra forze produttive e rapporti di produzione capitalistici) mentre la prima continua a poggiare su un modo di produzione specificamente capitalista pur se modificato negli aspetti di proprietà e parzialmente dalla programmazione economica.
Per questo l'efficienza degli strumenti politici di governo della classe lavoratrice devono essere affinati ed funzionali ed il primo elemento che fa perdere questa efficienza è la burocratizzazione dell'apparato, la burocrazia per la democrazia popolare è come un'ingessatura: irrigidisce quello che invece è dinamico.
Di conseguenza la seconda maniera di rendere inefficiente la democrazia popolare è quella di far perdere alla politica il posto di comando, di trasformare in organizzativismo quella che deve essere l'espressione delle masse, la politica necessita spesso di salti e rotture e si sviluppa male nella linearità.
Su questo si innesta la terza criticità, ovvero il ruolo dell'avanguardia della classe operaia ovvero il Partito Comunista. Questo per essere lucida avanguardia deve raccogliere in sé gli elementi migliori della società, ma non è detto che questi elementi siano tutti adeguati e sufficienti a governare lo Stato per questo la rappresentanza della democrazia popolare deve essere tale da far emergere nel processo di nomina gli elementi migliori e i più adeguati a sviluppare l'organizzazione del governo della società indipendentemente dalla loro adesione al Partito Comunista.
Compito del Partito comunista è quello di essere avanguardia organizzata e, se lo è, sarà sempre presente in tutti gli ambiti sociali in funzione propulsiva e di stimolo, ma non è vero il contrario. Cioè inserire forzosamente i membri del Partito magari acquisiti per spirito carrieristico non garantisce affatto la funzione di avanguardia, anzi tende a svilirla.
A questo proposito va chiarito che l'esistenza di altri partiti operai è una maniera di far emergere le contraddizioni in seno al popolo perché, se nella democrazia borghese i partiti rappresentano interessi di classi o di frazioni delle stesse, nella democrazia popolare questi rappresentano contraddizioni che si sviluppano nel corso della lotta in seno a strati di lavoratori quindi la loro esistenza non va vista come negativa ma come materializzazione di una contraddizione da superare in avanti.
La costituzione del 1918 fa da spartiacque con tutte le concezioni borghesi perché indica con chiarezza le basi della democrazia popolare:
1) il potere appartiene e risiede nelle classi lavoratrici : “7 …... Il potere deve appartenere interamente ed unicamente alle masse lavoratrici ed ai loro rappresentanti plenipotenziari: i Soviet dei deputati degli operai, dei soldati e dei contadini”.
2) garanzia del diritto di parola, del diritto di riunione, del diritto di associazione (artt. 14,15,16 vedi sopra) perché solo se per definizione la classe lavoratrice ha i mezzi per garantire di questi diritti si può parlare di democrazia popolare
3) deputato o delegato eletto a tempo determinato e sempre revocabile dai propri elettori. E' curioso notare come questo fatto sia così connaturato nella natura dei soviet (vedi testimonianze sopra) che sia nella costituzione del 1918 che in quella costitutiva dell'URSS del 1924 non viene affatto esplicitato come ovvietà. Bisogna arrivare alla costituzione del 1936 (che formalizza un po' tutti gli aspetti) per trovarlo scritto in forma esplicita: “ 142. Ogni deputato è tenuto a rendere conto davanti agli elettori del proprio lavoro e del lavoro del Soviet dei deputati dei lavoratori, e può essere revocato in qualunque momento, per decisione della maggioranza degli elettori, secondo le modalità stabilite dalla legge”.
Tutte le costituzioni socialiste che verranno scritte in seguito faranno riferimento a questa costituzione perché irrinunciabilmente contiene in se tutti i principi base del sistema democratico popolare.
Possiamo dire che le costituzioni successive potranno inserire nel loro corpo aspetti o punti deboli di questa democrazia che sono emersi nello svolgimento storico del percorso della gestione popolare del potere.
Per primo vogliamo segnalare quanto inserito nella costituzione cubana perché pone un concetto molto avanzato di difesa della democrazia operaia:
“ARTICOLO 3. Nella Repubblica di Cuba la sovranità risiede nel popolo, da cui proviene tutto il potere dello Stato. Questo potere è esercitato direttamente o tramite le Assemblee del Potere Popolare e gli altri organi dello Stato che ne derivano, nei modi e all'interno delle norme stabilite dalla Costituzione e dalle leggi. Tutti i cittadini hanno il diritto di combattere con tutti i mezzi, compresa la lotta armata, quando non sia possibile altra risorsa contro chiunque cerchi di sovvertire l'ordine politico, sociale ed economico stabilito dalla presente Costituzione”.
E' l'unica costituzione che non pone esplicitamente limite alla difesa della democrazia operaia poiché già allora si è dimostrato che una rivoluzione eminentemente sovrastrutturale può per ciò stesso essere attaccata dall'interno attraverso colpi di Stato più o meno mascherati.
Questa costituzione pone anche in luce un collegato di principi della democrazia socialista:
“Articolo 68. Gli organi dello Stato si integrano e sviluppano la propria attività sulla base dei principi della democrazia socialista espressa nelle seguenti regole:
a) tutti gli organi rappresentativi del potere dello Stato sono elettivi e rinnovabili;
b) le masse popolari controllano l'attività degli organi statali, dei deputati, dei delegati e dei funzionari;
c) gli eletti devono rendere conto del loro agire e possono essere revocati dai loro incarichi in qualsiasi momento;
ch) ogni organo statale sviluppa ampiamente, nel quadro delle sue competenze, l'iniziativa volta all'incameramento delle risorse e possibilità locali e all'incorporazione delle organizzazioni sociali e di massa nella propria attività;
d) le disposizioni di organi statali superiori sono obbligatori per quelli inferiori;
e) gli organi statali inferiori rispondono davanti a quelli superiori e rendono loro conto della propria gestione;
f) libertà di discussione, l'esercizio della critica e dell'autocritica e la subordinazione della minoranza alla maggioranza governano in tutti gli organi statali collegiali “.
Nella costituzione cinese del 1975 viene esplicitato il socialismo nelle sua natura di rivoluzione sovrastrutturale:
“Premessa. La società socialista abbraccia un periodo storico molto lungo. Durante tutto questo periodo esistono le classi, le contraddizioni di classe e la lotta di classe, come anche la lotta tra la via socialista e la via capitalista, il pericolo di una restaurazione del capitalismo e la minaccia di sovversione e di aggressione da parte dell’imperialismo e del socialimperialismo. Queste contraddizioni possono essere risolte soltanto mediante la teoria della continuazione della rivoluzione sotto la dittatura del proletariato e mediante la pratica guidata da questa teoria”.
Pone anche in luce un aspetto della libertà di parola:
“Articolo 13. La libera espressione delle opinioni, la piena manifestazione dei punti di vista, i grandi dibattiti e i manifesti murali sono forme nuove create dalle masse popolari per condurre la rivoluzione socialista. Lo Stato assicura alle masse popolari il diritto di utilizzarle per creare un’atmosfera politica in cui regnino insieme il centralismo e la democrazia, la disciplina e la libertà, la volontà unanime e, per ognuno, uno stato d’animo fatto di soddisfazione e di entusiasmo, al fine di contribuire al consolidamento della direzione del Partito comunista cinese sullo Stato e al consolidamento della dittatura del proletariato”.
Tutto ciò è fondamentale per comprendere lo sviluppo della democrazia popolare. Ma c'è un aspetto che è necessario sviluppare per capire a pieno la portata di questa rivoluzione ed è l'aspetto che ci fa comprendere come la democrazia popolare sia foriera di una successiva rivoluzione e un successivo salto qualitativo che vedrà forme di democrazia ancora più avanzate quando si porrà la possibilità di creare un nuovo modo di produzione, il comunismo.
Abbiamo detto che per la democrazia popolare l'interesse è uno solo: abolire lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Sebbene questa sia una verità certa la storia ha dimostrato che è assai complesso da realizzare in una rivoluzione sostanzialmente sovrastrutturale e che il permanere delle classi e del capitale (sia pur statalizzato) sono portatrici di contraddizioni che si possono trasformare in antagoniste lasciando spazio a restaurazioni o tentativi di restaurazione.
Ciò ci fa capire che, da una parte è necessario che i Partiti Comunisti approfondiscano le tematiche relative ai problemi del socialismo considerando che a tutt'oggi molti punti permangono in zona d'ombra e, dall'altra, che il processo di democrazia popolare non è dato una volta per tutte ma va rinnovato in continuazione attraverso la mobilitazione delle masse e il coinvolgimento dei giovani, e bisogna rifuggire assolutamente ogni tentativo di burocratizzazione dei processi democratici perché foriero di allontanare le masse dalla politica.
La conclusione di questo lavoro è una sintesi del lavoro stesso al fine di poter garantire un suo più ampio utilizzo. Questo opuscolo nel suo complesso è fatto per coloro che hanno già un minimo di preparazione politica dato che molti passaggi sono sottintesi.
In sintesi si può affermare che si è dimostrato come storicamente la democrazia rappresentativa non sia affatto un sistema universale valido per tutti i tempi e tutte le classi, ma il sistema ideale per il funzionamento di un modo di produzione specificamente capitalista. Cioè un sistema di gestione dello Stato che permette al capitalismo nella sua fase superiore e decadente imperialista di continuare a riprodursi nel migliore dei modi.
Perno di questo sistema rappresentativo è la figura del deputato che deve essere svincolato da qualsivoglia legame specifico o mandato imperativo (ovvero legato a rappresentare gli interessi specifici di chi lo ha eletto) ma deve rappresentare l'interesse generale della nazione cioè deve mettere al primo posto le necessità di questo tipo di società di riprodursi così com'è. In questo senso non è un'anomalia che il deputato non mantenga le promesse elettorali, o lo faccia in maniera molto sfumata, ma anzi è la modalità reale della sua esistenza. Non per nulla tra momento elettorale e azione politica esiste una cesura incolmabile: nel momento elettorale è compito dell'aspirante deputato dimostrare al proprio elettorato che ha intenzione di portare avanti degli specifici interessi settoriali o corporativi ma, nell'azione politica, al primo posto deve essere l'interesse generale del capitale nel suo complesso (o della nazione che è la stessa cosa). E' chiaro che il deputato possa portare avanti gli interessi del proprio gruppo o i propri su aspetti secondari della gestione dello Stato (per capirsi i piccoli emendamenti che vengono messi a margine di leggi generali a esclusivo interesse di specifici gruppi). Questo però è un lavoro che va fatto in maniera silenziosa e comprensibile solo agli addetti ai lavori, quando invece accada che questa azione sia fatta in maniera palese e sfacciata, si lascia lo spazio agli avversari politici per far scoppiare lo scandalo e danneggiare in ultima analisi la propria parte.
Tornado al momento elettorale questo funziona come qualunque altra impresa capitalistica: il risultato si ha in base all'investimento effettuato. Attenzione, come in qualunque impresa capitalistica la tecnologia ha la sua importanza anche nel ridurre i costi e, quindi, non c'è da meravigliarsi se qualche impresa basata su tecnologie informatiche sia riuscita a far eleggere deputati a costi inferiori di quelli degli altri partiti.
La democrazia rappresentativa è il sistema ideale di governo della borghesia perché in esso è insito il meccanismo che impedisce alla classe lavoratrice di prendere il governo dello Stato, al massimo a questa classe è lasciato il privilegio di scegliere i rappresentanti meno ostili della classe dominante. Il concetto di “meno ostili” purtroppo è legato all'apparenza perché spesso fanno breccia nei sentimenti dei lavoratori partiti che operano diametralmente contro i loro interessi, come partiti liberali e parafascisti.
Diametralmente opposta a questa è la democrazia popolare che storicamente si è costruita intorno allo sviluppo della conquista dello Stato da parte della classe lavoratrice nel suo complesso. Il nome è un esplicito riferimento al fatto che in tutte le repubbliche dove si è sviluppata una presa del potere delle masse operaie si è storicamente usato il termine “Repubblica Popolare”.
Il perno di questa modalità democratica è quello di mettere in relazione il singolo o gruppo di lavoratori col governo del paese, questo è il nocciolo. Ciò perché non c'è contraddizione tra l'interesse del singolo o gruppo di lavoratori e quello della società che si basa sull'abolizione dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo.
Qualunque altra interpretazione della base della democrazia popolare è fuorviante e conduce a pantomime della democrazia borghese.
All'interno della democrazia popolare non è molto rilevante la figura del deputato (anche se ovviamente la qualità dei rappresentanti è legata alla qualità del dibattito che li produce) è invece rilevante la struttura che ne permette l'esistenza. Un profondo e produttivo dibattito fra i lavoratori ha bisogno di sedi, strutture, materiali, mezzi di comunicazione ed altro per potersi sviluppare, questi sono i luoghi fisici dove si costruisce un governo che non è rappresentativo degli operai, ma che è il prodotto del lavoro delle masse lavoratrici.
Il mandato non è imperativo nel senso storico del termine (cioè rappresentare specifici interessi e specifiche indicazioni del mandatario, gruppo o assemblea) è invece indicazione di lavoro. Il gruppo di lavoratori, studenti, insegnati, lavoratrici in casa, pensionati (soviet, comitato, collettivo, il nome è indifferente quello che conta è la sostanza) partecipa all'elaborazione delle direttive per il governo della società, ovvero non si occupa solo di quante fermate deve fare l'autobus ma anche delle direttive programmatiche e da incarico al proprio deputato di sviluppare questo lavoro. Il deputato deve lavorare in maniera limpida e mettere il suo lavoro a disposizione dei propri elettori, se il lavoro che produce non è soddisfacente può essere revocato in qualunque momento. A sua volta il deputato partecipa all'elezione dell'istanza superiore (nel caso di costruzione piramidale diretta) e anche il lavoro di questo dirigente è sottoposto al controllo di tutti i deputati che lo hanno eletto ed è da questi sempre revocabile.
Ciò non svilisce la qualità dei dirigenti, anzi li obbliga ad essere altamente qualitativi e lo stesso vale anche per i deputati, e questo è uno dei motivi per la loro necessaria revocabilità in ogni momento. Un lavoro complesso richiede capacità maggiori ma da anche risultati migliori, cioè più adeguati a costruire una società giusta ed equilibrata.
Come è stato esaminato nell'analisi storica, la costruzione piramidale non è obbligata in tutti i suoi aspetti ma va costruita a seconda delle necessità storiche e politiche all'interno sempre di un lavoro che ha la sua base nel potere delle masse lavoratrici. Si possono perciò anche avere diversi tipi di elezioni o progressive (piramidale diretta) o a livelli (per ogni livello di governo sociale c'è un'elezione), la cosa importante è che l'eletto deve sviluppare il lavoro impostato tra la gente e il suo compito è sottoposto alla critica e alla revoca da parte dei propri elettori.
La democrazia popolare è pluralista perché costruire uno stato dei lavoratori è un'impresa complessa e quindi le idee per svilupparla possono essere molteplici. Sono quindi i partiti e in particolare il partito comunista che devono dimostrare di essere capaci di partecipare a questo processo come forza di avanguardia e di sviluppo dello stesso. Ovviamente, non c'è nessun obbligo che gli eletti o gli incaricati facciano parte di qualche partito devono, semplicemente, essere i migliori in quel luogo e in quella fase. Compito dei partiti è rappresentare sintesi e tesi di sviluppo, o diversi modi di rappresentare lo sviluppo sociale, il loro è un compito arduo perché privo di garanzie della propria esistenza.
Non è qui inutile specificare che essere i migliori vuol dire lavorare per l'interesse generale e non per la propria tasca. Quindi gli eletti mantengono posto di lavoro e salario che avevano prima e stanno bene attenti a come spendono i soldi dello Stato.
fausto marini
Bibliografia:
“God's Englishman” C. Hill, Penguin Books 1970;
“Problemi di storia del capitalismo” Maurice Dobb, Editori Riuniti 1958;
Le tre lezioni bolognesi di Maurice Dobb 24-27 Marzo 1962;
“Storia contemporanea” Sabbatucci-Vidotto, La Terza 2008;
“Costituzione della Repubblica Italiana” 1947
“Costituzione della BDR” (Germania Ovest) 1949
“Costituzione della Repubblica Francese” 1958
“Costituzione del Regno del Belgio” 1994